Giulio Tremonti



Rassegna Stampa

- Il Sole 24 Ore

Al posto del Garante basta la magistratura

La Commissione Finanze della Camera dei deputati sta discutendo il nuovo testo base dello «Statuto dei diritti del contribuente».

La Commissione Finanze della Camera dei deputati sta discutendo il nuovo testo base dello «Statuto dei diritti del contribuente».
Si tratta di una buona legge, sostanzialmente (spesso letteralmente) basata sul testo pionieristico presentato dall'on. Franco Piro, tre legislature fa. Proviamo a fare un'analisi dello «Statuto».
Il nuovo "corpus" normativo è sistematicamente diviso in tre parti: una prima parte è fatta nella forma della legge sulle leggi; una seconda parte è fatta nella forma della legge delega; una terza parte è fatta nella forma della legge "tout court'.
La prima parte è quella che si sviluppa nella forma delle norme-principio. Del tipo: le leggi tributarie devono essere "chiare", "trasparenti", solo eccezionalmente "interpretative", non "retroattive" eccetera. Si tratta, in particolare, di norme "metodologiche", di norme su come devono essere fatte le future norme. Peraltro, nonostante l'utilizzo di un enunciato solenne («in attuazione degli articoli 3, 53, 97 della Costituzione»), lo «Statuto» non è una legge costituzionale e neppure una legge espressamente prevista dalla Costituzione. È solo una legge formale ordinaria. E perciò sistematicamente sempre derogabile, da parte di altre leggi formali ordinarie. In questi termini, si potrebbe anche cominciare a ironizzare. Ad esempio, sostenendo che in questa parte lo «Statuto» è una non-norma, ottimisticcamente una norma pre-illuministica, del tipo: «Il Re avrà cura del popolo della Pomecraiía». Attualizzando, si potrebbe aggiungere che si tratta solo di una trovata illusoria, di propaganda politica. Non necessariamente e non inevitabilmente.
Per funzionare in questa sua prima parte, Io «Statuto» può (potrebbe) infatti contare, se non su di una sua propria superiore "forza" giuridica, comunque su di una superiore autorità morale. Lo «Statuto» può averla e/o acquistarla, questa forza, se, nella filiera della produzione legislativa, riesce ad acquisire di fatto una posizione gerarchica sovraordinata.
Se,  nel comune sentire, e di qui nell'indirizzo della politica legislativa, viene riconosciuto e rispettato come meta-norma. Le premesse non sono positive. Per cominciare, la fonte politica è quanto meno discutibile. Si tratta infatti di un testo di fonte governativa, e francamente non pare che nel corso di questi anni i governanti, e le loro maggioranze, si siano distinti per il rispetto dei principi ora enunciati in forma solenne con lo «Statuto», avendoli anzi essi stessi sistematicamente violati.
E poi è il testo stesso dello «Statuto» che viola lo «Statuto». Infatti, se all'articolo 2, primo comma si dispone che «le leggi che contengono disposizioni tributarie devono menzionarne l'oggetto nel titolo; la rubrica delle partizioni interne e dei singoli articoli deve menzionare l'oggetto delle disposizioni ivi contenute», al successivo artico-lo 8, ultimo comma, si opera (per esempio) un criptico riferimento all' «articolo 15 della legge 5 luglio 1982, n. 441»!
Tuttavia, le prospettive positive aperte dallo «Statuto» sono tanto importanti, per la civiltà del rapporto fiscale, da legittimare un'apertura di credito. Nella prospettiva positiva che gli indirizzi di politica legislativa finora seguiti siano, almeno per il futuro, radicalmente modificati e superati. In questa prospettiva, oltre a sottoscrivere un'apertura di credito, si può fare un "test" istantaneo, relativo alla seconda parte dello «Statuto» stesso.
La seconda parte è quella che prevede una delega, dal Parlamento al Governo, a emanare «le disposizioni correttive delle leggi tributarie vigenti necessarie a garantire la coerenza con il contenuto della presente legge».
Si tratta di una delega estesissima e, perciò, di una norma costituzionalmente discutibile e — a mio parere — politicamente inaccettabile. Finora le "deleghe fiscali' sono infatti state eccessive, troppo generiche, sviluppate fuori da "pareri" parlamentari e fuori dai presupposti legali, integrando una normazione alluvionale e continua, discrezionale ed erratica.
Se non la lettera, lo spirito dello «Statuto» sarebbe dunque violato se proprio lo «Statuto» fosse l'occasione dell'ennesima "delega fiscale".
La terza parte dello «Statuto» è, infine, quella che istituisce e regola í diritti del cittadino-contribuente. È, di gran lunga, la parte migliore.
Su questa, due soli rilievi di merito:
a) la prevista figura del "Garante" pare essere negativa. A prescindere dal costo e dai rischi di eventuale (si fa per dire) lottizzazione, si tratta di un'ulteriore figura di "autorità" (in Italia, sono già state create circa 14 "Authority"), che dovrebbe ibridare gli clementi dell'amministrazione con quelli della giustizia. In realtà, a tutelare i cittadini-contribuenti bastano (dovrebbero bastare) la legge e il giudice;
b) va ampliato, a favore del cittadino-contribuente, il diritto alla trasparenza su tutti gli atti che compongono il "dossier" che lo riguarda.